Quel
lunedì mattina l’aeroporto sembrava più affollato del solito ed
io ero terribilmente in ritardo. Tutto era iniziato a casa, di
buon’ora, quando già pronta per uscire, ricordai di non aver
stampato la relazione che avrei dovuto presentare al cliente. Il
tempo di avviare il portatile, accendere la laser e stampare quella
dozzina di pagine, che l’orologio già mi indicava un ritardo di
venti minuti sulla mia precissima tabella di marcia.
Viaggiavo
spesso per lavoro ed il Milano-Roma delle 07:30 era diventato il mio
volo più frequente, quell’anno. Il rientro era generalmente
“open”, per lasciar spazio ad eventuali imprevisti di lavoro, ma
il viaggio di andata era ormai cronometrato con la precisione di una
missione spaziale.
Tranne quella mattina, in cui tutto
sembrava andar storto. Prima la stampa, poi il tassista che avrebbe
dovuto già essere in pensione da un pezzo, poi la caotica folla
nell’aerostazione, così saltai il mio solito caffè in uno dei bar
dell’aeroporto e mi diressi di corsa verso il gate d’imbarco,
visto che il chek-in lo avevo gia fatto online.
Arrivata al
gate un pò in affanno, fui assalita da un’ondata di panico: Non
vedevo la solita piccola e ordinata folla di uomini e donne d’affari
in coda per l’imbarco, nè tantomento li vedevo seduti nelle
poltroncine riservate all’attesa d’imbarco, alle prese con i loro
palmari e tablet.
Guardai l’orologio e sebbene il
lieve ritardo sulla mia solita tabella di marcia, sembravo essere
ancora in orario, ma lì non c’era nessuno ad aspettare il mio
volo.
Verificai la stampa del foglio di check-inn con l’orario
ed il gate del volo e tutto sembrava dover essere a posto, ma quel
dannato lunedì qualche altra cosa stava andando controvento.
Corsi
al tabellone dei voli in partenza e scoprii con una fitta alla cuore
che il mio imbarco era stato spostato in un’altra ala
dell’aeroporto. Sicuramente le persone in attesa dei quel volo
erano già state avvisate dagli altoparlanti, ma io quella mattina
sembravo essere in ritardo su tutto.
Probabilmente imprecai ad
alta voce di quel diamine di cambio del cancello d’imbarco, perchè
al mio fianco, un ragazzotto, che sembrava più perso di me, mi disse
che anche lui avrebbe dovuto prendere lo stesso volo e notato che io
ero certamente più pratica di lui nella conoscenza
dell’aerostazione, mi propose di portare il mio trolley se io lo
avessi velocissimamente guidato verso il corretto cancello
d’imbarco.
Accettai, perchè i miei tacchi 12 e la mia gonna
stretta mal conciliavano con una corsa, per di più trainando quel
piccolo ma pesante trolley, carico del mio laptop, alimentatore, mini
proiettore e tutto quel che una donna manager deve sempre
portare con sè.
Corremmo, senza dirci altro se non le mie
indicazioni su dove voltare e le sue indicazioni sull’orario, ormai
prossimo alla chiusura dell’imbarco.
Arrivammo al gate che
tutti erano già usciti. Le due assistenti d’imbarco nel vederci
correre verso loro, capirono che avremmo dovuto salire sul quel volo
e furono davvero gentili, comunicando qualcosa via radio e facendoci
segno di sbrigarci, mentre finalmente davamo loro la carta
d’imbarco.
Corremmo anche lungo il corridoio snodabile che
si aggancia al portello del velivolo e trovammo il personale di bordo
un pò scocciato per il nostro ritardo. A bordo, le solite facce di
gente d’affari, che leggevano il giornale o ci guardavano con un pò
di disprezzo, per quei cinque minuti di ritardo che stavamo
procurando al “loro” volo.
Attraversai il corridoio
dell’aeromobile non senza imbarazzo, sicuramente rossa in viso per
la corsa, un pò troppo affannata e con la camicetta bianca un pò in
disordine, ma almeno ero a bordo !
Il ragazzo fu gentile nel
portare il mio trolley fino al mio sedile e sistemarlo nella
cappelliera in alto, mentre sulle spalle teneva ancora uno di quei
zainetti più adatti ad uno studente di liceo che ad un ragazzo di
venticinque / trent‘anni. Chissenefrega, pensai, almeno è stato
gentile !
Il volo durò poco, giusto il tempo di rimettermi a
posto la camicetta ed i pensieri, prima di quell’incontro di lavoro
cui tenevo davvero molto. Dimenticai immediatamente quel che era
accaduto in quella frenetica mattina e mi concentrai al meglio sul
mio lavoro.
Incontrai nuovamente lo sguardo di quel ragazzotto
dopo essere atterrati a Linate, mentre fuori dal velivolo, cercavo di
correre più veloce degli altri per accaparrarmi un taxi.
Stavolta
portavo da sola il mio trolley e nel sorpassarlo, lo ringraziai per
la sua galanteria.
Con un sorriso un pò insolente, mi rispose che
era stato divertente correre con me. “Imbecille !”, pensai,
mentre il mio sorriso si trasformò in un ghigno di
disprezzo.
Arrivai nell’ufficio del mio cliente, un
importante studio di progettazione, con sufficiente anticipo per
ricomporre il mio look e rifarmi il trucco. Finalmente il tempo per
un caffè e poi tre ore di filate di riunione per fare la mia solita
figura di grande professionista. Accettai un veloce pasto offerto dal
mio cliente in un moderno lauch-bar di quelli tipici milanesi, poi
tornai sò, in ufficio, per salutare i miei interlocutori, riporre
tutte le mie apparecchiature nel mio trolley e congedarmi da loro
fino al prossimo incontro, giusto tra una settimana.
Erano le
15:00, avevo portato a termine con successo la mia “missione”,
ero un pò stanca e stressata, ma c’era il tempo per un pò di
rilassante shopping per Via Montenapoleone e dintorni, prima di
rientrare a casa. Telefonai in ufficio dal mio ragazzo, ma la sua
assistente mi disse che era in riunione e lasciai detto che avrei
preso l’ultimo volo di rientro per Fiumicino.
Due rapidi
calcoli e stabilii che avevo almeno tre ore per me, tutte da dedicare
alle vetrine dell’unica Milano che adoravo: Quella dello shopping
!
Tramite il mio iPhone fù facile fare il check-inn online
per il volo MI-RM delle 22:00. Poi mi godetti quella meritata pausa,
smettendo per un pò di pensare al lavoro ed a ogni altra cosa
seria.
Intorno alle venti ero di nuovo in aeroporto, con il
mio solito trolley ed un paio di voluminosi shoppers di elegante
cartoncino patinato, che dovevano valere una buona parte di quel che
avevo speso nei mie due negozi preferiti di Milano.
Al gate,
le solite facce di gente d’affari che si sposta tra Roma e Milano
per un solo incontro in giornata, proprio come me. Curiosamente,
c’era anche quel ragazzotto, alto ed un pò stralunato, col suo
zainetto, stavolta tra le gambe, mentre era seduto a giocare con il
suo iPad. Lo ignorai completamente, sedendomi in un’altra fila,
alle sue spalle.
Ne approfittai per chiamare mio marito, che
non avevo sentito per tutta la giornata. Non che noi ci si
telefonasse spesso, ma volevo avvisarlo di ordinare qualcosa dal
ristorante vietnamita che avevamo non distante da casa, poichè
quella sera non desideravo altro che un bagno caldo ed una cena un pò
particolare.
Più che fidanzati, al telefono sembravamo
due colleghi, abituati come eravamo a messaggi stringati e privi di
ogni vena di emotività. Non che non lo amassi, ma avevo sempre
trovato stupide le smancerie tra un uomo ed una donna.
Avevo
appena finito di chiudere la conversazione che alle mie spalle sentii
dire qualcosa che all’inizio non credevo fosse rivolta a me: “Ciao,
ti sei ripresa poi oggi ? Stamane sembravi sconvolta !”. Alzai un
pò lo sguardo sopra i miei occhiali da vista e mi accordi che era di
nuovo lui, quel ragazzotto.
“Dici a me ?” gli risposi,
senza dedicargli più attenzione di quanta ne meritasse.
“Si,
dico a te, oggi è stato proprio divertente correrti dietro !” e
poi: “Posso ?” disse senza attendere la mia risposta e sedendosi
sulla poltroncina al mio fianco.
Non risposi e finsi di
cercare qualcosa nella tasca del trolley, tanto per non lasciarli
spazio.
“Marco”, continuò senza che glie lo avessi chiesto.
“Sò di essere più giovane di te, ma volevo dirti che il nostro
breve incontro mi è piaciuto molto”.
Davvero insolente,
pensai, un pò indispettita per quel “più giovane” che feriva il
mio orgoglio di donna. decisi allora di mettere in pratica tutta la
mia più raffinata e spietata tecnica per far sentire un uomo, specie
se più giovane e meno esperto, un vero imbecille.
“Ragazzo”,
dissi, spostando gli occhiali sulla punta del naso e guardandolo
negli occhi: “Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di sprecare il
mio tempo con te? Stò aspettando un aereo per tornare a casa, non di
essere scocciata da un ragazzino“. Fui proprio stronza, come sapevo
essere nel far sentire gli uomini piccoli ed inutili, ma la sua
risposta mi lasciò del tutto impreparata: “...un pò acida, ma ti
scoperei lo stesso”, mi disse con un sorriso disarmante e lo
sguardo che puntava dritto al mio decoltè.
Rimasi per un
attimo senza parole, un bel pò scocciata da tanta presuntuosa
arroganza, ma intimamente compiaciuta per quel complimento così
genuino e sfrontato. Alzai lo sguardo su di lui e ne feci una rapida
ma precisa scansione: Moro, meno di un metro e ottanta, barba del
giorno prima, capelli un pò troppo lunghi per essere ordinati, jeans
un anonimo pullover a “V” dal quale spuntava il girocollo di una
t-shirt bianca. Troppo giovane e sciatto per i miei gusti e tuttavia
molto carino, seppure poco elegante. Nulla a che vedere con la classe
di mio marito o dei miei rari amanti, tutti uomini professionalmente
e socialmente arrivati, di buon gusto, curati e raffinati .
“Maddai,
lascia stare, ragazzo !”, gli dissi, riabbottonando quel bottone
della mia camicetta sotto il quale il suo frugava il suo sguardo.
“Non dirmi che non ti piacerebbe fare due chiacchiere con un
ragazzo come me”, continuò lui con la solita presuntuosa
sicurezza.
Stavo davvero per rispondergli per le rime,
quando il sistema di diffusione ci informò che il nostro volo era
stato annullato e che avremmo avuto maggiori informazioni al banco
dell’imbarco. “Un bel membro di casino”, imprecai, pentendomi
di quella frase poco elegante, mentre quell’imbecille al mio fianco
sembrava invece molto divertito.
Attendemmo che il personale
di terra ci raggiunse e ci comunicò che per un guasto tecnico il
nostro volo era rimasto a Fiumicino e che sarebbe partito solo
l’indomani mattina. Essendo poi l’ultimo volo della serata, la
compagnia aerea ci avrebbe ospitati in una albergo nei pressi
dell’aeroporto, dove saremmo stati accompagnati da un bus
navetta.
“Woww !!!” Fu l’unica espressione divertita di
quell’imbecillotto, nello sconforto collettivo di quella
cinquantina di persone che non sarebbero rientrate a casa, quella
sera. Senza alcuna ragione, mi accorsi di essere un pò divertita
anche io da quella inattesa evenienza e dai goffi tentativi di
abbordaggio che quel ragazzotto avrebbe continuato a farmi, quella
sera.
Stavolta rifiutai di farmi portare sia il trolley, sia
le buste dei miei lussuosi (e lussuriosi) acquisti milanesi, senza
lasciare a quel ragazzotto altre facili possibilità di “aggancio”,
nè lui trovò altro modo, se non seguirmi fino al pullman messo a
disposizione dalla compagnia aerea. Salendo a bordo scelsi
volutamente di sedermi in una fila con due poltroncine libere e lui
non si lascio sfuggire l’occasione di sedersi al mio
fianco.
Durante il breve tragitto fino all’albergo, mi
divertii a fagli sentire la mia telefonata con mio marito, stavolta
più tenera del solito, perchè a lui fosse chiaro che avevo un uomo
che mi dava ogni genere di soddisfazione. Lui ascoltò la mia
conversazione guardandomi con quell’aria sempre un pò divertita e
quando terminai la telefonata, mi chiese qualcosa sul mio lavoro e mi
raccontò qualcosa del suo, un banalissimo tecnico di studi di
registrazione musicale. Proprio non avrei saputo che farmene di un
ragazzotto così, pensai.
Una volta scesi dal pullman, in coda
alla reception dell’albergo per il check-in, mi chiese a che ora
sarei scesa per la cena. Gli risposi che avrei saltato la cena quella
sera, sapendo invece che non sarebbe stato così e che sarei comunque
scesa al ristorante. Subito dopo e senza alcuna ragione, me ne pentii
un pò, di quella bugia.
Fatto il chek-in prima di lui mi
avviai verso gli ascensori perdendolo di vista. Appena preso
confidenza con quella camera d’albergo, usata soltanto da
viaggiatori in transito, mi gratificai sotto una doccia bollente,
durante la quale mi accorsi che insaponavo e massaggiavo il mio
corpo, da quarantacinquenne ben portati, con un certo compiacimento
erotico, pensando forse un pò a elle attenzioni di quel
trentenne.
Poi, sul lettone (detesto prendere letti singoli,
fanno tanto rappresentante di commercio), mi compiacqui per aver
sempre previsto nel mio trolley un mini set di creme e cremine
idratanti per il corpo. Accesi la tv ed annoiata dai soliti
telegiornali, selezionai un canale di diffusione musicale,
scegliendone uno di allegra musica jazz. Di lì a poco, mi sarei
rivestita, sistemata i capelli e poi scesa al ristorante, per
mangiare qualcosa.
Quel bussare alla porta mi colse del tutto
impreparata, quasi nuda e per di più con i capelli bagnati. Era
certamente un errore, mi avvosi nel grande telo da bagno bianco e mi
avvicinai alla porta della camera dicendo “...siii ???”.
“E’
la cena, signora, rispose il cameriere da fuori la porta”.
“Un
attimo”, dissi io sistemandomi meglio il telo da bagno ed aprendo
appena un pò la porta per chiarire l’equivoco” ma rimanendo al
riparo da guardi indiscreti.
Intravedevo parte del carrello
con cui di solito si servono i pasti in camera, ma compresi
immediatamente di esser stata fregata: “Cena per due !” diceva
una voce divertita che riconobbi appartenere a Marco, quel ragazzotto
forse più insolente che imbecille, che era di nuovo tornato
all’attacco.
Aprii poco di più la porta e lui con
quel suo solito disarmante sorriso mi disse “Dai, presto, fammi
entrare, poi ti racconto !”. Rimasi un attimo dietro la porta,
decidendo cosa fare, poi tenendo il telo bianco ben serrato sul mio
corpo, aprii del tutto la porta, lasciando sfilare nella mia camera
prima il carrello apparecchiato per due e poi lui, che con fare
divertito scimmiottava un cameriere. “Signora....”, disse, mentre
con tanto di salvietta al braccio, entrava con spregiudicata
sicurezza nella mia camera, forse un pò troppo in disordine.
“Sei
proprio un cretino !” gli dissi, ridendo un pò dentro di me per
quella buffa situazione.
Ero praticamente nuda sotto il telo da
bagno ed avevo lasciato entrare questo ragazzotto, ancora vestito
come lo avevo visto la mattina in aeroporto. Gli mancava solo lo
zainetto, pensai.
“Si può sapere che ti sei messo in testo,
ragazzo ?” gli dissi con un tono troppo poco arrabbiato per essere
credibile. Lui rispose che non aveva voglia cenare da solo e poichè
gli avevo detto che non sarei scesa al ristorante, tanto valeva
cenare i camera, insieme. Così aveva ordinato per due ed una volta
che il cameriere se n’era andato, aveva percorso due piani ed un
corridoio lungo mezzo chilometro, prima di trovare il numero della
mia camera, che aveva carpito durante il mio ceck-in alla
reception.
“Bastardo !”, pensai, molto divertita all’idea
di quello scemotto in giro per tutto l’albergo con il carrello
apparecchiato. “Sei un vero insolente, non si piomba così in
camera di una signora”. E lui: “... solo per farle piacere,
signora !”.
Avevo deciso di stare un pò al suo gioco e
lasciarlo un pò fare, prima di rispedirlo nella sua camera,
naturalmente in bianco. Raccolsi un pò delle mie cose, lasciate quì
e lì per la stanza, presi i due shopper di acquisti milanesi e mi
chiusi in bagno, più che altro per mettere a fuoco i miei pensieri e
decidere la mia prossima strategia. Decisi immediatamente, ma mi ci
volle un buon quarto d’ora per darmi una sistemata, così come
avevo deciso di presentarmi a lui.
Asciugai i capelli e mi
truccai leggermente con un filo di mascara ed il mio solito eyeliner,
seppure molto leggero, per non dare l’impressione di essermi
truccata per lui. Dai due shoppers, estrassi i regali che mi ero
fatta nel mio pomeriggio milanese: Un completino intimo color verde
petrolio ed una vestaglietta di seta bianco perla. Presi l’altro
telo da bagno grande, quello asciutto e lo avvolsi intorno al mio
corpo, annodandolo con cura appena sopra i seni. Decisi di non
indossare calze nè scarpe, rimanendo con le pantofole di tela
bianche messe a disposizione dall’albergo. Poche gocce del mio
profumo, sui polsi e sul collo, incorniciavano quel mio essere un pò
puttanella, quella sera. E finalmente uscii dal bagno.
“Sarà
fredda, ormai”, dissi, indicando la cena, ancora nascosta sotto i
coperchi che apparecchiavano quel carrello. Lui intanto aveva
sistemato un pò la stanza, organizzando un vero e proprio angolo da
cena, avvicinando il carrello ed una poltroncina ai piedi del letto
matrimoniale. Aveva poi scelto con cura la miglior illuminazione
possibile e cambiato la musica dalla, che ora suonava una suadente
musica longue.
Mi accomodai ai piedi del letto, con lui sulla
poltroncina ed alzammo, divertiti, i coperchi di quel che aveva
ordinato per noi due; Vitel tonnè, pane al sesamo, formaggi, miele e
macedonia. Del buon vino bianco era nel cestello pieno di ghiaccio e
presto emanava aromi fruttati dai nostri due bicchieri.
Spizzicammo
con piacere quella cena, bevendo con gusto quell’ottima falanghina
ghiacciata, mentre ci raccontavamo qualcosa delle nostre vite, così
tanto diverse tra loro.
Il piacere del contrasto tra il sapore del
formaggio e quello del miele, sposava alla perfezione con quel vino
fresco e fruttato, che scivolava già con leggerezza.
Stavamo
appunto gustando quel trio di aromi così diversi eppure così tra
loro intimamente legati quando la suoneria del mio iphone mi ricordò
di io marito, rimasto solo a Roma. Risposi a quella telefonata,
dapprima pò imbarazzata, poi sempre più divertita. Mi sdraiai a
pancia in giù sul letto ed iniziai a raccontargli della mia
giornata, di tutti gli inconvenienti e perfino di quell’imbecillotto
che mi aveva aiutato e poi disturbato in aeroporto. Tralascia di
digli che quel ragazzo era nelle mia camera, in quel momento e che
mentre io parlavo al telefono con lui, stava sfiorando le mie
caviglie ed i miei polpacci...
“Ti manco ?” Chiesi al mio
ragazzo, mentre Marco iniziava a baciarmi leggero le caviglie, ed io
rimanevo a pancia in giu, lasciandolo fare. Mio marito sembrò
apprezzare quel mio insolito essere tenera con lui ed iniziò a
chiedermi cosa cosa mi sarebbe piaciuto fare, se lui fosse stato quì
con me. Gli dissi, mentendo solo in parte, che ero sdraiata sul letto
e che avrei voluto che lui mi accarezzasse ed baciasse le cosce e la
schiena.
Marco, intanto sembrava prendermi alla lettera
e dopo aver leggermente aperto le mie cosce, iniziava a risalire
sotto il telo da bagno, fino a raggiungere la seta ancora immacolata
della mia nuova vestaglia di seta.
Quella insolita situazione,
quelle dita e quelle labbra che realizzavano le fantasie che
dichiaravo al mio ragazzo erano mentalmente più eccitanti di quanto
stavo fisicamente provando, pensai, ma poco dopo mi accorsi che quel
piacere era anche fisico e quelle dita erano arrivate sin dove il mio
corpo era più sensibile a quelle attenzioni.
Dissi al mio
ragazzo che avrei voluto sentire le sue mani tra le mie cosce e che
anzi, quella sera, in sua assenza, avrei desiderato le mani di
qualsiasi uomo, cosa che eccitò molto mio marito, a cinquecento
chilometri di distanza, che stupìto da quella mia novità e convinto
che quello fosse soltanto un nostro gioco, mi chiese cosa avrebbe
dovuto farmi, quello sconosciuto.
Gli dissi, che avrei voluto
non vederlo, che avrei voluto rimanere sdraiata sul letto, mentre
quelle mani salivano su per le cosce, fino a sentire la mia fichetta
gonfia e calda di desiderio. Marco, intanto eseguiva alla lettera,
risalendo sù per le mie cosce fino alle mie mutandine nuove, ormai
già bagnate.
Poi mi girò supina, sciolse il nodo del
telo da bagno, e lo sfilò, lasciandomi con la vestaglietta di seta
bianco perla. Sciolse poi il nodo che la teneva ancora chiusa sul mio
completino verde petrolio e con infinita lentezza scostò i lembi di
quella vestaglietta, fino a scoprire tutto il mio corpo.
al
mio ragazzo raccontai praticamente tutto, dicendogli che desideravo
che quello sconosciuto mi girasse e che mi spogliasse, fino a vedermi
in reggiseno e mutandine, per poi toglierrmi anche quelle. E Marco,
ancora una volta obbedì, abbassando le spalline del mio reggiseno
nuovo e scoprendo i miei seni maturi ma ancora sodi per la mia
età.
Era strano sentire quelle mani su mio corpo, così più
giovani delle mie. Tutti i miei uomini, mi accorsi, erano stati più
grandi di me, perchè da donna di successo qual’ero, avevo sempre
scelto uomini socialmente affermati e quindi più maturi di me. Fino
a quella sera.
Ora invece quel ragazzo, così lontano dai miei
gusti, mi stava prendendo o forse ero io che mi stavo dando a lui,
lasciando che mio marito partecipasse a distanza a quei miei desideri
ed a quel mio lasciarmi andare.
Mentre sentivo l’eccitazione
infuocarmi il ventre, alzavo leggermente i fianchi, lasciando che
quel ragazzo sfilasse le mie mutandine. al mio ragazzo, stavolta con
voce un pò ansimante, confessai che ero eccitata e che avrei voluto
che quello sconosciuto sentisse sul suo volto il calore della mia
fica. Anche lui si stava eccitando, ma non sapeva che intanto Marco
aveva aperto ancora di più la mie cosce ed il suo volto era ormai ad
un sospiro da quel ciuffetto morbido e ben curato che nascondeva
appena un pò le porte del mio paradiso. Sentivo il calore del suo
respiro sulle labbra, ormai, mentre io accarezzavo la sua nuca. Mio
marito mi chiese allora se avessi voluto sentire la sue lingua dentro
di me, ed il mio “siiii....” fu così intenso che la mia mano
spinse la nuca di Marco finchè la sue lingua non mi fù
dentro.
Mio marito interpretò bene quel mio gemito di
piacere e mi chiese se mi stavo masturbando. Gli risposi che sentivo
la sua lingua dentro di me, cosa che mio marito interpretò come una
mia fantasia, mentre Marco baciava e succhiava le mie labbra ed il
clitoride con infinita dolcezza, lasciando poi nuovamente sprofondare
la sua calda lingua dentro di me.
Mio marito, ormai anche lui
molto eccitato, mi confessò che anche lui si stava masturbando,
pensando a me. Io gli risposi che sentivo davvero quella lingua
dentro di me e lui si eccitò ancora di più, sentendomi così
coinvolta dalle mie fantasie...
... come fossero vere, mi
disse.
Marco intanto mi prendeva i fianchi con le mani ed
affondava la sua lingua con colpi sempre più decisi e ritmici,
spingendo ora la sua lingua sul mio clitoride, ora affondandola
dentro di me.
Inarcai i fianchi ancora di più e spinsi la sua
nuca tra le mie cosce, mentre le sue mani risalirono dai fianchi fino
ai miei seni ed io scoppiavo un lungo gemito di piacere, godendo così
intensamente da rimanere senza respiro. Anche mio marito credo fosse
venuto in quel medesimo istante, perchè anche il suo respiro era
affannato ed aveva smesso di parlarmi al telefono. Rimanemmo così
tutti e tre, in silenzio, io e mio marito uniti al cellulare e quel
ragazzo con le sue labbra sulla mia fica.
Piano piano ci
stavamo riprendendo da quel lungo attimo di intensa passione e mio
marito iniziò a dirmi dei nostri impegni per l’indomani sera, in
casa di amici. Non avevo molta voglia di ascoltarlo, volevo soltanto
restituire a quel ragazzo tutto il piacere che mi aveva regalato, ma
non trovavo il modo per chiudere così brutalmente la nostra
conversazione.
Marco, intanto si era alzato e ricomposto un
pò. Lo guardai con occhi pieni di interrogativi, mentre cercavo di
dire al mio ragazzo che ero stanca e che avrei voluto dormire.
Marco
intanto, portò il suo dito indice sulle sue labbra e piano piano,
fecce “Shhhhh...!!!”
Mi regalò un sorriso, di quelli suoi,
sinceri ed un pò sfrontati ed uscì in silenzio dalla mia camera,
proprio mentre davo la buonanotte al mio ragazzo.
Rimasi
ancora sul letto, ad occhi chiusi, cercando di rivivere ogni attimo
di quella giornata e di quella imprevedibile e meravigliosa serata,
desiderando l’indomani, incontrare quel ragazzo e conoscerlo più
di quanto mi avesse permesso.
In fondo, c’era ancora un volo ad
attenderci.